passeggiata al broletto

al broletto, una selezione della collezione di francesco gonzales.
è una replica, adattata ad uno spazio più ristretto, della bella mostra al castello di galliate dell'anno scorso (donne dell'800. moda e pittura a confronto in collezioni novaresi).
non è l'unica iniziativa messa in campo su questo argomento dall'instancabile atl di novara, uno dei pochi organismi che sembrano rendersi conto del valore aggiunto rappresentato dalla cultura, sapendo oltretutto coniugare con buongusto il lascito umanistico con la cultura materiale. 
di queste iniziative rimangono poi dei volumi illustratissimi, che sono da leggere e da guardare. sempre di gonzales, con flavia fiori, dobbiamo ricordare, oltre a quello citato, sete, ricami e taffetas (2009) e telai divini. arte e moda nelle terre delle colline novaresi e del sesia (interlinea, 2011).
il dato che balza all'occhio, visitando la mostra, è il predominio di abiti americani e la relativa scarsità di quelli nostrani. è un dato che si spiega con la miseria: dalle nostre parti c'è sempre stato, e c'è,  qualcuno più povero a cui cedere un abito usato, che poi deve diventare vestina per bambini, e quindi pezza da piedi e infine straccio per pavimenti, senza contare le stufe del tempo di guerra, e del dopoguerra, che tutto inghiottivano, come combustibile.
è una constatazione che possiamo fare anche in altri ambiti merceologici, le bancarelle dei nostri mercatini sono piene di esemplari di corriere dei piccoli, il vittorioso, topolino, albi destinati a una borghesia che poteva permettersi il lusso di conservarli, ma provatevi a cercare un numero del pioniere, il supplemento per ragazzi dell'unità.
è dunque al livello diacronico testimoniato dal mercato antiquario che sopravvive quella non contemporaneità teorizzata dal filosofo ernst bloch, che si voleva superata dall'avvento del postmoderno.
e ciò è in effetti vero, per tutto ciò che è attuale: magazzini e boutiques di new york, bombay o milano, offrono ormai le stesse merci e vana è la pretesa del viaggiatore di tornare a casa, come un tempo, con qualcosa di caratteristico e introvabile.
resta però la voglia, e con la voglia si prendono lucciole per lanterne. narravo altrove come, colpita la mia immaginazione dal caleidoscopico imperversare newyorkese di certe borse dai delicati toni pastello, mi fossi incaponito di dar loro cittadinanza americana, per poi scoprire che avevano un'origine molto più vicina di quanto non pensassi [amanuense].
lo stesso fenomeno, con portata molto più ampia e esito paradossale, è descritto dall'antropologa sharon hepburn, che ci racconta lo strano destino del cappello thamelcloth hat, negli anni '80 comprato a carrettate, a kathmandu, da turisti convinti di acquistare un capo tradizionale dell'abbigliamento nepalese. in realtà il cappello era prodotto in india e nessun abitante del nepal si era mai sognato di indossarlo. tornata a kathmandu negli anni '90, la hepburn scopre che ora il cappello è diventato di moda anche lì, indossato soprattutto dagli appartenenti alla casta hindu, gli snob locali, che lo indossano proprio in virtù del favore incontrato presso i turisti occidentali, casta ulteriormente superiore.

resta comunque un po' d'amaro in bocca, passeggiando tra le crinoline di nonna speranza del broletto, nel constatare che el fiö del sciavatin el và 'n gir de sclusa, e che forse nessuna testimonianza materiale autoctona ci resta del passato grandeur del novarese, come distretto tessile e della moda. 
a vocazione agricola, paesone di risaia, novara si fece precocemente industriale proprio col tessile. 
già all'inizio degli anni '20, la città era una capitale operaia al femminile, giacché nel settore  erano impiegate soprattutto donne, e questo contribuisce, forse, a spiegare perché proprio in città si concentrò, con finalità strategiche quell'offensiva squadrista che nel maschio bracciantile contado era stata ricondotta a più miti consigli.
poi fauser ci portò la chimica, ma val la pena di notare che la chimica, settore d'avanguardia, smobilitò, poi, prima dell'arretrato comparto tessile.
ma anche per queste produzioni è giunta, infine, l'ora che pare estrema. doppieri, wild, olcese, cantoni, rotondi, inco, hanno chiuso una dopo l'altra, di ieri è la fine della liontex.
il mondo cambia e occorre adeguarsi alle mutate condizioni. negli anni '40, la tessitura baldi fiutò l'aria e si mise a produrre seta per paracadute. confidiamo in una soluzione diversa.